Michela Stefani
L’architettura high-tech
Esistono tanti tipi di architettura oggigiorno, nati e sviluppati per soddisfare le esigenze di tutti.
Vi sorprenderà scoprire che molti stili architettonici sono derivazione di stili precedenti, idee precedenti.
È il caso dell’architettura high-tech. Nome strano, vero?
Se non sapete di cosa stiamo parlando, continuate a leggere: ci immergeremo insieme in un modo dove modernità, tecnologia, industria e design si fondono alla perfezione.
LA STORIA DELL’ARCHITETTURA HIGH-TECH
Nonostante il nome di questo stile architettonico suggerisca una natura giovane e futuristica, l’architettura high-tech è nacque negli anni ‘70, proponendosi in contrapposizione al Movimento Moderno.
Gli ideatori di questo nuovo stile architettonico pensavano infatti che il Movimento Moderno avesse ormai fatto il suo corso e che non fosse più così dinamico e all’avanguardia.
Come spesso succede in questo tipo di contesa, nessuna delle due architetture ebbe davvero la meglio sull’altra ma, piuttosto, si influenzarono a vicenda per i decenni successivi.
L’architettura high-tech mantenne, nonostante tutto, la sua identità rinnovatrice e rivoluzionaria, puntando a servirsi delle ultime innovazioni tecnologiche per creare edifici che sorprendessero l'osservatore, distaccandosi da tutti gli altri.
Una sorta di barocco tecnologico? Può darsi.
Negli anni ‘80 però a questa particolare corrente architettonica se ne aggiunsero numerose altre e tutte caddero nel calderone delle architetture Postmoderne: distinguere i vari filoni diventava sempre più difficile.
Le caratteristiche degli edifici high-tech non si discostano poi molto dalla vecchia architettura in ferro e vetro: vi troverete spesso elementi in acciaio e vetro disposti su uno scheletro dagli interni spaziosi con un accesso facile ai vari piani.
RICHARD ROGERS
Quando si parla di architettura high-tech, è impossibile non spendere due parole per uno degli architetti più famosi di questo movimento.
Con un nome degno di un eroe dei fumetti, Richard Rogers nacque a Firenze nel 1933 da padre britannico e madre triestina, frequentò una facoltà di architettura britannica e, una volta laureato, si specializzò a Yale.
Terminati gli studi fondò negli anni ‘60, con sua moglie e una coppia di amici architetti, la sua azienda, il Team 4.
Nel 1970 avvenne per lui un incontro storico, la collaborazione con l’architetto italiano Renzo Piano: durante gli anni di lavoro gomito a gomito i due riprogettarono insieme il Centre Pompidou a Parigi. Un lavoretto modesto e di poco conto, insomma.
Ma cosa rendeva Richard Rogers un designer e architetto così particolare? Il segreto sta in una parola: "bowellismo". Questo concetto prevedeva che i vari servizi per l'edificio, come condotte fognarie, scale o ascensori, fossero posizionati all'esterno, in modo da rendere più spoglio ma anche più utilizzabile lo spazio all'interno.
Rogers non portava avanti un’idea di design moderno fine a sé stesso: tutti i suoi progetti avevano uno scopo sociale, tutti i suoi edifici volevano incoraggiare l’incontro con il grande pubblico, rendendo gli spazzi più accessibili e di facile utilizzo.
Siete mai stati in un edificio high-tech? Cosa ne pensate di questo stile: è ancora avanguardia o è già superato? Fateci sapere le vostre impressioni.
Alla prossima, con un nuovo articolo di approfondimento a tema design targato MiBe.